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Poi su Twitter accade che…

Nella storia di #iostoconcaterina su Twitter, tra le discussioni pro e contro, tra gli insulti, tra i millemila tweet che riguardano la storia di Caterina Simonsen, ad un certo punto ricevo questo…

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Ovviamente rispondo che non sono io. Mi scappa un sorriso.

Mi scappa, però, anche una riflessione su Twitter e il suo flusso continuo, incessante, di informazioni, notizie, opinioni, cazzeggio, tweet e retweet nel quale ogni giorno, io come tanti, siamo immersi.

Difficile leggere tutto, difficile tenere le fila, per chi non mastica troppo lo strumento difficile uscire dalla logica io messaggio te tu messaggi me.

Difficile per chi lo mastica troppo, invece, Twitter, spiegare che tutto scorre e che il bello di Twitter è proprio quello di far scorrere un racconto in tempo reale che poi in tempo reale veramente non è.

Come quando guardiamo un fiume che scorre e l’acqua non è mai la stessa, quindi il fiume non è mai lo stesso, anche un minuto dopo. Twitter è così. Tutto scorre a velocità impressionante.
Già al tweet successivo stiamo sicuramente parlando d’altro, linkando un articolo che la serendipity ci ha fatto trovare, rispondendo a un amico, replicando a perfetti sconosciuti e così via, retwittando la frase ironica del momento, partecipando alla narrazione di un hashtag, qualunque esso sia.

Solo perchè ci va. Liberi pensieri, in libertà.

Twitter non è mai lo stesso, un tweet da solo non è mai contestualizzato, anche se lo fosse, al tweet successivo è già altro, defluito altrove come i pensieri, in libertà.

Nell’hashtag c’è Caterina, io mi chiamo Caterina, tra il fiume di tweet della storia me ne tocca anche uno, chi sa per quale strana associazione.

Come quando mi dicono “ho letto quella cosa che hai scritto l’altro giorno su Twitter”.
E io non so di cosa parliamo.
Quale? Il fiume, da l’altro giorno, sai quanta acqua ha fatto scorrere?

In 60000 tweet dal 2006 sai quante cose twitto, contestualizzami.
Che poi anche contestualizzando, contestualizzerai secondo te, non secondo me che in quel minuto twittavo 140 caratteri, magari con tanto di faccina, autoironia e chi sa cos’altro, nel grande racconto della rete che scorre e scorre. Nel grande neverending present continous dove infiliamo il racconto di istanti, le foto di momenti, le battute, gli aforismi, le nostre riflessioni, gli sfoghi, le emozioni, le parole o le risorse che vogliamo condividere col mondo.

E le faccine. Ringrazio chi le ha inventate. Spesso unico segno grafico che segnala “Ehy, qui si scherza, si ironizza, ci si diverte…” oppure il contrario, basta cambiare la parentesi.

Insomma Twitter. Pare vi stiano migrando da Facebook gli adolescenti (almeno quelli americani e inglesi) proprio per via dell’immediatezza e del flusso che scorre più rapidamente agli occhi dei genitori rispetto a Facebook, dove gli adulti sono arrivati in massa proprio per controllare i loro pargoletti. Meglio ancora whatsapp, più privato. Ultima moda Snapchat, i cui messaggi spariscono proprio dopo la visualizzazione.

Insomma evviva il flusso che scorre. Il bello di Twitter è questo, lo dicevo già qualche anno fa.

Panta Rei. Panta Twitter.

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